ROMA, 9 gennaio 2008 – Nell'omelia della festa dell'Epifania Benedetto XVI è tornato su un tema a lui carissimo, quello del rapporto tra la fede e la scienza.
Il papa ha preso spunto dalla stella dei Magi che – ha rimarcato – "erano con tutta probabilità degli astronomi" come lo fu Galileo Galilei. Ma ha invitato a portare lo sguardo al di là di una pura contemplazione del cielo stellato. "Le stelle, i pianeti, l’universo intero – ha detto – non sono governati da una forza cieca, non obbediscono alle dinamiche della sola materia". Al di sopra di tutto non c'è "un freddo ed anonimo motore", ma quel Dio definito da Dante nell'ultimo verso della Divina Commedia come "l’amor che move il sole e l’altre stelle ", quel Dio che ha preso carne in mezzo agli uomini e ad essi ha dato la vita. Nella "sinfonia" del creato – ha proseguito il papa – c'è un "assolo" che dà significato al tutto: e questo "assolo" è Gesù.
Il 2009 è il quarto centenario delle prime osservazioni di Galileo Galilei al telescopio e sarà celebrato in tutto il mondo come l'anno dell'astronomia. Sarà anche un anno particolarmente dedicato a Charles Darwin e alle teorie cosmologiche a lui ispirate. A questo doppio appuntamento, papa Joseph Ratzinger dà l'impressione di arrivare ben caricato.
Lo si è capito anche da un passaggio chiave del discorso programmatico che egli ha rivolto alla curia romana lo scorso 22 dicembre:
"La fede nello Spirito creatore è un contenuto essenziale del Credo cristiano. Il dato che la materia porta in sé una struttura matematica, ed è piena di spirito, è il fondamento sul quale poggiano le moderne scienze della natura. Solo perché la materia è strutturata in modo intelligente il nostro spirito è in grado di interpretarla e di attivamente rimodellarla. Il fatto che questa struttura intelligente proviene dallo stesso Spirito creatore che ha donato lo spirito anche a noi, comporta insieme un compito e una responsabilità. Nella fede circa la creazione sta il fondamento ultimo della nostra responsabilità verso la terra. Essa non è semplicemente nostra proprietà che possiamo sfruttare secondo i nostri interessi e desideri. È piuttosto dono del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci e con ciò ci ha dato i segnali orientativi a cui attenerci come amministratori della sua creazione. Il fatto che la terra, il cosmo, rispecchino lo Spirito creatore, significa pure che le loro strutture razionali che, al di là dell'ordine matematico, nell'esperimento diventano quasi palpabili, portano in sé anche un orientamento etico. Lo Spirito che li ha plasmati è più che matematica: è il Bene in persona che, mediante il linguaggio della creazione, ci indica la strada della vita retta".
Colpisce, in questo passaggio, il ripetuto insistere del papa sulla struttura matematica dell'universo.
La matematica, infatti, è una scienza esatta che spesso oggi viene contrapposta a Dio, come la sua negazione "scientifica", definitiva.
Scienziati di notorietà mondiale come l'inglese Richard Dawkins e l'italiano Piergiorgio Odifreddi legano insistentemente la matematica alla professione dell'ateismo. Divulgate in conferenze, articoli e libri di grande successo, le loro tesi ambiscono a diventare linguaggio e pensiero comune.
In parole semplici, le obiezioni di questi matematici atei sono quelle espresse da uno studente liceale romano di 17 anni, di nome Giovanni, durante un botta e risposta col papa il una piazza San Pietro gremita di giovani, il 6 aprile 2006:
"Padre Santo, si è indotti a credere che la scienza e la fede sono tra loro nemiche; che la logica matematica ha scoperto tutto; che il mondo è frutto del caso; e che se la matematica non ha scoperto il teorema-Dio è perché Dio, semplicemente, non esiste".
A queste obiezioni, Benedetto XVI rispose testualmente così:
"Il grande Galileo ha detto che Dio ha scritto il libro della natura nella forma del linguaggio matematico. Lui era convinto che Dio ci ha donato due libri: quello della Sacra Scrittura e quello della natura. E il linguaggio della natura – questa era la sua convinzione – è la matematica, quindi essa è un linguaggio di Dio, del Creatore.
"Riflettiamo ora su cos’è la matematica: di per sé è un sistema astratto, un’invenzione dello spirito umano, che come tale nella sua purezza non esiste. È sempre realizzato approssimativamente, ma – come tale – è un sistema intellettuale, è una grande, geniale invenzione dello spirito umano. La cosa sorprendente è che questa invenzione della nostra mente umana è veramente la chiave per comprendere la natura, che la natura è realmente strutturata in modo matematico e che la nostra matematica, inventata dal nostro spirito, è realmente lo strumento per poter lavorare con la natura, per metterla al nostro servizio, per strumentalizzarla attraverso la tecnica.
"Mi sembra una cosa quasi incredibile che una invenzione dell’intelletto umano e la struttura dell’universo coincidano: la matematica inventata da noi ci dà realmente accesso alla natura dell’universo e lo rende utilizzabile per noi. Quindi la struttura intellettuale del soggetto umano e la struttura oggettiva della realtà coincidono: la ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura sono identiche. Penso che questa coincidenza tra quanto noi abbiamo pensato e il come si realizza e si comporta la natura, siano un enigma e una sfida grandi, perché vediamo che, alla fine, è 'una' la ragione che le collega ambedue: la nostra ragione non potrebbe scoprire quest'altra, se non vi fosse un’identica ragione a monte di ambedue.
"In questo senso mi sembra proprio che la matematica – nella quale come tale Dio non può apparire – ci mostri la struttura intelligente dell’universo. Adesso ci sono anche teorie del caos, ma sono limitate, perché se il caos avesse il sopravvento, tutta la tecnica diventerebbe impossibile. Solo perché la nostra matematica è affidabile, la tecnica è affidabile. La nostra scienza, che rende finalmente possibile lavorare con le energie della natura, suppone la struttura affidabile, intelligente della materia. E così vediamo che c’è una razionalità soggettiva e una razionalità oggettivata nella materia, che coincidono. Naturalmente adesso nessuno può provare – come si prova nell’esperimento, nelle leggi tecniche – che ambedue siano realmente originate in un’unica intelligenza, ma mi sembra che questa unità dell’intelligenza, dietro le due intelligenze, appaia realmente nel nostro mondo. E quanto più noi possiamo strumentalizzare il mondo con la nostra intelligenza, tanto più appare il disegno della Creazione.
"Alla fine, per arrivare alla questione definitiva, direi: Dio o c’è o non c’è. Ci sono solo due opzioni. O si riconosce la priorità della ragione, della Ragione creatrice che sta all’inizio di tutto ed è il principio di tutto – la priorità della ragione è anche priorità della libertà – o si sostiene la priorità dell’irrazionale, per cui tutto quanto funziona sulla nostra terra e nella nostra vita sarebbe solo occasionale, marginale, un prodotto irrazionale; la ragione sarebbe un prodotto della irrazionalità. Non si può ultimamente 'provare' l’uno o l’altro progetto, ma la grande opzione del cristianesimo è l’opzione per la razionalità e per la priorità della ragione. Questa mi sembra un’ottima opzione, che ci dimostra come dietro a tutto ci sia una grande Intelligenza, alla quale possiamo affidarci.
"Ma il vero problema contro la fede oggi mi sembra essere il male nel mondo: ci si chiede come esso sia compatibile con questa razionalità del Creatore. E qui abbiamo bisogno realmente del Dio che si è fatto carne e che ci mostra come Egli non sia solo una ragione matematica, ma che questa ragione originaria è anche Amore. Se guardiamo alle grandi opzioni, l’opzione cristiana è anche oggi quella più razionale e quella più umana. Per questo possiamo elaborare con fiducia una filosofia, una visione del mondo che sia basata su questa priorità della ragione, su questa fiducia che la Ragione creatrice è amore, e che questo amore è Dio".
* * *
Nell'argomentazione di Benedetto XVI ora riportata spiccano due elementi. Il primo è che la ragione matematica non può negare Dio ma nemmeno provarlo. Avvicina però a Lui. E mostra che Dio è in definitiva "un’ottima opzione". Riaffiora qui l'invito a vivere "veluti si Deus daretur", come se Dio ci fosse, invito lanciato più volte da Ratzinger anche "agli amici non credenti", come già prima di lui da Pascal.
Il secondo elemento è che la ragione matematica non può dire tutto di Dio, perché Dio "è anche Amore". Nel botta e risposta del 2006 con i giovani, Benedetto XVI si limitò al semplice enunciato di questa tesi. Ma per vederne lo sviluppo non c'è che da leggere l'intera sua omelia dell'Epifania di quest'anno.
* * *
DIO E LA MATEMATICA
Per quanto apparentemente scienza e religione hanno da sempre rappresentato mondi diversi e separati, se
non quasi opposti e antagonisti, la storia della matematica è però lì a dirci il contrario.
Partiamo da Pitagora,
il celebre filosofo greco al cui nome è associato il teorema forse più famoso di tutti i tempi, sempre citato al principio di ogni storia della matematica (magari insieme ad
Archimede).
Pitagora aveva le idee molto chiare: la matematica non è una invenzione dell’uomo, ma una scoperta. E’ la
realtà stessa ad essere intessuta di matematica, fondata sul numero. La filosofia greca coglie l’ordine, la razionalità dell’universo; la filosofia di Pitagora identifica il numero come fonte di
questa razionalità. Scrive l’astrofisico italiano Mario Livio nel suo “Dio è un matematico”: “I pitagorici radicavano letteralmente l’universo nella matematica. In effetti per loro Dio non era un
matematico ma la matematica era Dio”. Ciò significa che i Pitagorici coglievano come vera sostanza della realtà qualcosa di intangibile, di invisibile; qualcosa che precede la realtà materiale,
che la supera e la informa.
Sarà poi Platone,
con la sua metafisica, a dare alla matematica un ruolo fondamentale nella conoscenza umana, ritenendo l’esistenza delle realtà matematiche “un fatto oggettivo tanto quanto l’esistenza
dell’universo stesso” [Mario Livio, “Dio è un matematico”, Rizzoli, Milano, 2009, p.48, 49].
Fatto: l’universo fisico esiste, non è capriccioso e caotico, ma ordinato. Riflessione filosofica: la
matematica, immateriale, ne rappresenta il fondamento, la sostanza. Si vede bene che siamo, benché in epoca ancora pagana, sulla strada di una concezione teista, che non pone il mondo “a caso”,
ma al contrario, ne riconosce l’intelligenza, l’armonia, la matematicità.
Da dove viene questa armonia? Per Platone dal mondo metafisico delle idee, e, tramite esse, dall’opera del
Demiurgo.
Prima dunque che Galileo scriva che “la matematica è l’alfabeto col quale Dio ha scritto l’universo”; prima
che il grande pisano definisca la natura come “il libro… scritto in lingua matematica” - alludendo molto chiaramente, quanto all’autore del libro, ad un Dio Creatore - è evidente a chi affronti
questa disciplina che la matematica nasce da un atto di fede nella non assurdità del mondo; da un atto di stupore di fronte al fatto che ciò che ci circonda non è regolato dal capriccio, ma dall’
intuizione, per dirla con Platone, che “Dio geometrizza sempre”.
Scriverà in pieno Novecento il grande matematico cattolico Ennio De
Giorgi: “il mondo è fatto di cose visibili e invisibili e la matematica ha forse una capacità, unica
tra le altre scienze, di passare dall’osservazione delle cose visibili all’immaginazione delle cose invisibili”.
La matematica dunque ci mette di fronte ad un fatto: l’universo si presenta come qualcosa di intelleggibile
alla nostra ragione.
Non è un dato scontato. Per Einstein “il
mistero più grande è che il mondo sia comprensibile”, cioè che il pensiero sia in grado di fornire un ordine alle esperienze sensoriali.
Per il premio Nobel L. De
Broglie invece “noi non ci meravigliamo abbastanza del fatto che una scienza sia possibile,
cioè che la nostra ragione ci fornisca i mezzi per comprendere almeno certi aspetti di ciò che accade attorno a noi” [L. De Broglie, “Fisica e Metafisica”, Einaudi, Torino, 1950,
p.216].
Non ci meravigliamo abbastanza, si potrebbe chiosare, del fatto che una sola creatura si ponga anzitutto
domande che vanno ben al di là dei bisogni primari, delle esigenze che evoluzionisticamente sarebbero necessarie alla sopravvivenza, e che sia in grado di andare al fondo della realtà, a ciò che
la regola e la fonda.
Il mistero dell’intelleggibilità del cosmo fa il paio con il mistero di una creatura, e solo quella, che
vuole e sa leggere tale intelleggibilità.
A dimostrazione, ne dedurrebbe un credente, che entrambe le ragioni, quella di Dio che fonda l’universo, e
quella dell’uomo, fatto “a immagine e somiglianza di Dio”, che lo interpreta e lo penetra, hanno una origine comune.
Sono ben comprensibili, allora, non soltanto la divinizzazione del numero di Pitagora e la metafisica di
Platone, ma anche il linguaggio biblico, così spesso ripetuto nell’epoca delle cattedrali: Dio ha fatto l’universo “secondo numero peso e misura” (Sap.11, 20).
Quest’idea appartiene anche alla storia del pensiero medievale, in particolare di quello francescano, tutto
intento nello scorgere nella natura, nella sua bellezza, non un ammasso informe, non una materia principio del male, ma i segni della Ragione e della Bontà creatrice.
Di qui l’idea di un grande antenato della scienza moderna, il medievale Roberto Grossatesta,
per cui Dio è il “Numerator et Mensurator
primus”; oppure il pensiero di san Bonaventura,
il quale scriveva: “tutte le cose sono dunque belle e in certo modo dilettevoli; e non vi sono bellezza e diletto senza proporzione, e la proporzione si trova in primo luogo nei numeri: è
necessario che tutte le cose abbiano una proporzione numerica e, di conseguenza, il numero è il modello principale nella mente del Creatore e il principale vestigio che, nelle cose, conduce alla
Sapienza” [Citato in Stefano Zecchi, “Storia dell’estetica”, vol. I, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 159]
Giovanni
Keplero, scopritore delle leggi del moto dei pianeti, non argomenterà in modo dissimile la sua
fiducia nella bontà e bellezza della creazione. La sua intuizione di fondo fu infatti che la matematica è “la struttura ontologica dell’Universo”.
Da ciò svilupperà “il suo intero lavoro di astronomo, in cui ritroveremo strettamente intrecciate fra loro
l’esplicita ripresa di antiche dottrine pitagoriche e neoplatoniche e una fervente fede cristiana”. Infatti, “certo del fatto che l’intera creazione dipenda da un disegno divino perfetto, Keplero
crede di averne trovato il segreto nell’idea che l’Universo sia costruito sulla base di figure geometriche note sin dalla geometria antica con il nome di ‘solidi regolari’… Dietro una tale
rappresentazione dell’universo vi è una concezione metafisica ben precisa. Keplero è convinto, infatti, che la stessa mente di Dio sia costituita da idee geometriche originarie di cui la mente
dell’uomo diviene partecipe”. “Non è un caso che poi Keplero interpreti in senso trinitario l’intera struttura del cosmo… Ciò che anima Keplero, è utile ricordarlo, non è tanto la convinzione di
un meccanicismo originario, quanto l’idea che l’Universo sia pervaso da una armonia matematica divina” [Costantino Esposito, Pasquale Porro, “Filosofia moderna”, Laterza, Bari, 2009, p.
67-69].
Al punto che Keplero scriveva: “La geometria precede l’origine delle cose, è coeterna alla mente di Dio, è
Dio in persona (cosa c’è in Dio che non sia Dio?); la geometria ha fornito a Dio gli archetipi della creazione e fu impiantata nell’uomo contemporaneamente alla somiglianza di Dio” [Citato in R.
Timossi, “Dio e la scienza moderna”, Mondadori, Milano, 1999, p.41].
Sulla stessa scia di Keplero e degli altri grandi pensatori citati, si colloca a ben vedere tutto il
pensiero matematico e in generale scientifico, per secoli e secoli, a partire dalle origini.
Sempre la matematica è vista come una scoperta dell’uomo, non come una sua invenzione. Si ritiene cioè che
il linguaggio matematico sia efficace, funzioni, non per caso, ma perché coglie l’oggettività di un ordine, l’esistenza di leggi universali: ordine e leggi universali che richiedono un
Legislatore supremo. Un Dio “dell’ordine e non della confusione” (“God of order and not of confusion”), come ebbe a dire un altro dei più grandi matematici della storia, Isaac
Newton.
Ha scritto il fisico contemporaneo Paul Davies:
“Come avviene che le leggi dell'universo siano tali da favorire l'emergenza di menti a loro volta capaci di riflettere e modellare accuratamente queste stesse leggi matematiche? Come è successo
che il cervello dell'uomo, che è il sistema fisico più complesso e sviluppato che conosciamo, abbia prodotto tra le sue funzioni più avanzate qualcosa come la matematica, capace di spiegare con
tanto successo i sistemi più basilari della realtà fìsica? Perché la mente, che si colloca al culmine dello sviluppo, si ripiega su se stessa e si collega con il livello base dell'esistenza, cioè
con l'ordine retto da leggi su cui l'universo è costruito? A mio avviso questo strano loop suggerisce che la mente è qualcosa che è legata ai più fondamentali aspetti della realtà fisica, sicché se vi è
un significato o un fine all'esistenza fisica, allora noi, esseri coscienti, siamo di sicuro una parte profonda ed essenziale di questo fine” [Citato in Bersanelli-Gargantini, “Solo lo stupore
conosce”, op.cit.].
Eric
T. Bell, autore del celebre volume “I grandi matematici”, inizia la sua narrazione partendo dai
filosofi greci, per passare quasi subito a Cartesio (1596-1650)
e Pascal (1623-1662).
Bell ricorda, di entrambi, la fede esplicita in un Dio Creatore, e il rapporto privilegiato con il celebre matematico padre Mersenne,
intorno al quale nasceva in quegli anni l’Accademia Francese di Scienze. Si potrebbero anche ricordare la dimostrazione a priori dell’esistenza di Dio di Cartesio, convinto che “le verità
matematiche che voi chiamate eterne sono state stabilite da Dio e ne dipendono interamente”, e la visione profondamente religiosa del matematico Pascal, inventore, tra le altre cose, della prima
“calcolatrice”, la “pascalina”. Costui, perfettamente in linea con la teologia medievale, sosteneva da un lato che “la natura ha perfezioni per mostrare che è l’immagine di Dio, e difetti per
mostrare che ne è solamente l’immagine” (Pensieri, 580), dall’altro specificava così la sua visione del rapporto tra scienza e fede: “Il Dio dei Cristiani non è un Dio
solamente autore delle verità geometriche e dell'ordine degli elementi, come la pensavano i pagani e gli Epicurei. […] il Dio dei Cristiani è un Dio di amore e di consolazione, è un Dio che
riempie l'anima e il cuore di cui Egli s'è impossessato, è un Dio che fa internamente sentire a ognuno la propria miseria e la Sua misericordia infinita, che si unisce con l'intimo della loro
anima, che la inonda di umiltà, di gioia, di confidenza, di amore, che li rende incapaci d'avere altro fine che Lui stesso” (Pensieri,
556).
Dopo Cartesio e Pascal, nella lista dei grandi matematici della storia, Bell pone il già citato Newton, e,
dopo di lui, Leibniz (1646-1717):
siamo sempre di fronte ad un filosofo, metafisico, giurista, fisico e matematico, che oltre a perfezionare il calcolatore già inventato da Pascal e ad offrire un importante contributo al calcolo
infinitesimale, era fermamente convinto, sino a dimostrarla a priori, dell’esistenza di Dio, visto come “soggetto di tutte le perfezioni, cioè l’essere perfettissimo”.
Dopo Leibniz, che già a ventun anni aveva scritto un trattatello intitolato “Testimonianza della natura
contro gli atei”, Bell ricorda il grande Leonardo Eulero (1707-1783),
definito “il matematico più prolifico della storia”: siamo nell’età della nascente miscredenza, degli atei materialisti francesi, alla d’Holbach e alla Diderot.
Eulero, invece, è un fervente protestante che ogni sera raduna la famiglia per leggere insieme brani della
Bibbia. Leggiamo un aneddoto curioso su di lui: “Invitato dalla grande Caterina a visitare la sua corte, Diderot consacrava
i suoi ozi a convertire i cortigiani all’ateismo; avvertita, l’imperatrice incaricò Eulero di mettere la museruola al frivolo filosofo. Era una missione facile, perché parlare di matematica a
Diderot, era come parlargli cinese… Diderot fu avvertito che un matematico d’ingegno possedeva una dimostrazione algebrica dell’esistenza di Dio e che l’avrebbe esposta davanti a tutta la corte,
se avesse desiderato ascoltarla; Diderot accettò con piacere… Eulero si avanzò verso Diderot e gli disse gravemente e con un tono di perfetta convinzione: ‘Signore, a+b alla n, fratto n, uguale a
x: dunque Dio esiste: rispondete’.
Questo discorso aveva l’aria di essere sensato agli orecchi di Diderot. Umiliato dalle pazze risate che
accolsero il suo silenzio imbarazzato, il povero filosofo domandò a Caterina il permesso di tornare in Francia… ”. Sappiamo che Eulero si era limitato a fare un po’ di commedia, in
quell’occasione, ma anche che in seguito provò a fornire “due solenni dimostrazioni dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima” [E. Bell, “I grandi matematici”, Sansoni, Firenze, 1966,
p.147-148].
Non interessa qui sapere quanto quelle dimostrazioni siano veramente efficaci, quanto notare che anche
Eulero non trasse dai suoi studi matematici motivi per la miscredenza, al contrario! Anche il grande matematico italiano Paolo Ruffini,
cattolico fervente, scriveva pochi anni dopo Eulero, nel 1806, una dimostrazione matematica dell’esistenza dell’anima, mentre il matematico napoletano Vincenzo Flauti cercò
di dimostrare Dio per via matematica nella sua “Teoria dei miracoli”. Imitato in questo tentativo ardito da George Boole (1818-1864),
pioniere della logica matematica, nel suo “Leggi del pensiero” e da uno dei più grandi geni della matematica e della logica di tutti i tempi, Kurt Gödel (1906-1978),
il quale tra gli anni ’40 e gli anni ’70 del Novecento, intento com’era “ricondurre il mondo ad unità razionale”, scrisse pagine fitte di formule tese a dimostrare l’esistenza di un Dio non solo
come Ente Razionale ma con gli attributi del Dio cristiano [R. G. Timossi, “Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel. Storia critica degli argomenti ontologici”,
Marietti 1820, Genova Milano, 2005].
Gödel era filosoficamente un realista, credeva cioè nella matematica come scoperta (“le leggi della natura
sono a priori”, non una “creazione umana”); criticava fortemente lo “spirito dei tempi” suoi, improntato al materialismo ed al meccanicismo; da battista luterano qual era, e da matematico,
professava la fede in un Dio trascendente, “nel solco di Leibnitz più che di Spinoza”; sosteneva l’irriducibilità della mente al cervello, dei processi psichici a spiegazioni solamente
meccaniche, e affermava che “il cervello è un calcolatore connesso a uno spirito” individuale ed immortale; riteneva “confutabile” l’idea che il cervello umano “sia venuto nel modo darwiniano”,
per cause puramente meccaniche e casuali e rifletteva sul fatto che il mondo, dal momento che “ha avuto un inizio e molto probabilmente avrà una fine nel nulla”, non si giustifica da se stesso
[Gabriele Lolli, “Sotto il segno di Gödel”, Il Mulino, Bologna, 2007, in particolare cap. VIII. Lolli ricorda anche quattro lettere scritte da Gödel alla madre, nel 1961, per esprimere “le sue
ragioni per credere in un’altra vita”, mentre ad un amico malato, Gödel scriveva: “L’affermazione che il nostro ego consiste di molecole di proteine mi sembra una delle più ridicole mai sentite…
”.]
Si potrebbe continuare a lungo, nella lista dei grandi matematici credenti, citando Carl
Friedrich Gauss (1777-1855), considerato
da molti “il principe dei matematici”, che fu un uomo dalla natura profondamente religiosa, abituato a leggere il Nuovo Testamento in lingua greca, convinto che “il mondo sarebbe un non senso,
l'intera creazione una assurdità, senza immortalità” dell’anima e senza Dio ; il cecoslovacco Bernad Bolzano (1781-1848),
sacerdote cattolico, che diede importanti contributi alla matematica, anticipando alcune idee di Cantor; il norvegese Niels Henrik Abel (1802-1829),
figlio e nipote di ecclesiastici protestanti; il tedesco Karl Theodor Wilhelm Weierstrass (1815-1897),
un matematico tedesco, spesso chiamato “padre dell’analisi moderna”, di cui portano il nome teoremi, teorie e oggetti matematici, figlio di un protestante convertito al cattolicesimo e cattolico
anch’egli (tanto da insegnare in varie scuole cattoliche) ; il tedesco Bernhard Riemann (1826-1866),
considerato uno dei massimi matematici di sempre, anch’egli figlio di un pastore protestante, che fu sempre spirito “religiosissimo” e devoto …
Oppure potremmo citare il grande Georg Cantor (1845-1918),
figlio di padre luterano e di madre cattolica, grande appassionato di filosofia e teologia medievale, così simpatizzante per la Chiesa cattolica da desiderare il consenso alla autorità cattolica
romana riguardo alle sue speculazioni sui numeri infiniti (speculazioni che confinavano, diciamo così, con la metafisica e la teologia)…
The Evolution of the Physicist's Picture of Nature - Paul Dirac
Questo brano ci offre uno squarcio sul pensiero di Dirac il quale, utilizzando la metafora del linguaggio matematico quale linguaggio usato da Dio, nell'indagare le leggi della fisica non trova contrasto tra la fede nella creazione e l'indagine scientifica sugli elementi naturali. A questo proposito scrive: «Dio è un matematico di primo ordine, che nel costruire l'universo ha utilizzato una matematica molto avanzata».
Uno degli aspetti essenziali della Natura sembra essere che le leggi fisiche fondamentali sono descritte da una teoria matematica di grande bellezza e potenza, per la cui comprensione è necessario un alto livello matematico. Vi chiederete: perché la Natura è costruita in questo modo? Si può soltanto rispondere che la nostra conoscenza attuale sembra mostrare che la Natura è costruita così. Dobbiamo semplicemente accettare questo fatto. Si potrebbe forse riassumere la situazione dicendo che Dio è un matematico di primo ordine, e che nel costruire l'universo ha utilizzato una matematica molto avanzata. I nostri deboli tentativi ci permettono di capire una piccola parte dell'universo, e man mano che progrediamo nella matematica possiamo sperare di comprenderlo sempre meglio.
Questa visione delle cose ci fornisce un altro metodo per compiere progressi nelle nostre teorie. Dal solo studio della matematica possiamo sperare di indovinare quale parte di essa entrerà nella fisica del futuro. Molti stanno lavorando alle basi matematiche della teoria quantistica, nel tentativo di comprenderla meglio e di renderla più potente e più bella. Se qualcuno riuscisse a trovare la direzione giusta per questo sviluppo, ciò potrebbe condurre a un progresso futuro in cui dapprima si scopriranno le equazioni e poi, dopo averle esaminate, si imparerà gradualmente ad applicarle. In una certa misura questo corrisponde alla linea di sviluppo aperta da Schrödinger con la sua equazione d'onda. Schrödinger la scoprì semplicemente cercando un'equazione dotata di bellezza matematica. Dopo che l'equazione fu scoperta, si vide che essa era appropriata sotto certi aspetti, ma i principi generali in base ai quali applicarla furono elaborati solo due o tre anni dopo. E possibile che i progressi futuri nella fisica avvengano secondo questa linea: si scopriranno dapprima le equazioni e poi ci vorrà qualche anno di sviluppo per trovare le idee fisiche che sono dietro a esse. Personalmente ritengo che sia una linea di progresso pili probabile del tentativo di intuire delle immagini fisiche.
Ovviamente, può darsi che persino questa linea di progresso sia destinata a fallire, e che rimanga solo quella sperimentale. I fisici sperimentali continuano a lavorare in modo del tutto indipendente dalla teoria, raccogliendo un vasto archivio di informazioni. Prima o poi ci sarà un nuovo Heisenberg che riuscirà a isolarne le proprietà importanti e capirà come usarle in modo simile a quello in cui Heisenberg ha utilizzato la conoscenza sperimentale degli spettri per creare la sua meccanica delle matrici. è inevitabile che lo sviluppo ultimo della fisica segua questa linea, ma dovremo aspettare a lungo se non emergeranno idee brillanti sui versante teorico.
- Paul A. M. Dirac, The Evolution of Physicist's Picture of Nature, «Scientific American», vol. 2018, n. 5, 1963, pp. 45-53, La bellezza come metodo, Indiana, Milano 2013, pp. 121-123
Resta la domanda: è proprio così diffusa la negazione di Dio, tra gli scienziati di oggi e in particolare i matematici?
A leggere l'inchiesta a puntate che "Avvenire", il quotidiano della conferenza episcopale italiana, sta pubblicando da un mese, la risposta è no.
"Avvenire" sta intervistando alcuni eminenti matematici proprio su "Numeri e fede", cioè sulla compatibilità tra la ragione matematica e la fede in Dio. L'immagine che ne esce è quella di un ambiente scientifico molto più aperto alla fede di quanto dica la "vulgata" dei media.
Gli intervistati sono stati finora i seguenti:
– l'11 dicembre 2008 Antonio Ambrosetti, per molti anni ordinario di analisi matematica alla Normale di Pisa e ora alla Scuola internazionale superiore di studi avanzati di Trieste;
– il 16 dicembre Lucia Alessandrini, ordinario di geometria all'Università di Parma;
– il 19 dicembre Giandomenico Boffi, ordinario di algebra all'Università di Chieti e Pescara;
– il 24 dicembre Marco Andreatta, ordinario di geometria e preside della facoltà di scienze all'Università di Trento;
– il 6 gennaio 2009 Giovanni Pistone, ordinario di probabilità al Politecnico di Torino;
– il 9 gennaio Maurizio Brunetti, professore di geometria e algebra all'Università Federico II di Napoli.
Il professor Pistone è membro della Chiesa evangelica valdese e diplomato in teologia, mentre gli altri sono di fede cattolica. L'inchiesta di "Avvenire" si limita all'Italia, ma nelle risposte degli intervistati sono frequenti i riferimenti ad altri paesi. Ferventi uomini di fede sono anche alcuni dei maestri da essi citati, in particolare Ennio De Giorgi, uno dei più insigni matematici del Novecento, e Francesco Faà di Bruno, proclamato beato nel 1998.
L'inchiesta continua. Ed è facile scommettere che tra i prossimi intervistati vi sarà Giorgio Israel, ordinario di matematiche complementari all'Università di Roma "La Sapienza", di religione ebraica e grande ammiratore di Benedetto XVI.
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Il giornale della conferenza episcopale italiana con l'inchiesta su "Numeri e fede", curata da Luigi Dell'Aglio: